– Perché avete deciso di intraprendere questa esperienza? Da dove proviene la vostra passione per il vino? Quali sono le origini della vostra azienda?
La storia della famiglia ha radici antiche, profondamente legate al lavoro della terra e al rispetto dei propri luoghi. Già dal 1607, anno in cui venne ufficialmente siglato un passaggio di proprietà da padre in figlio di un piccolo appezzamento di terra coltivato a vite, la famiglia Armani lavora con il rispetto di chi seguirà poi. È una catena che non si spezza, in cui ogni anello ha senso solo se seguito dal successivo.
– Cosa significa per voi gestire un’azienda come la vostra?
Ad oggi l’azienda si estende su 3 regioni (Trentino, Veneto e Friuli) con 5 cantine di proprietà. Ciò ci permette di lavorare con tutte le varietà che enologicamente ci interessano e che ci incuriosiscono e allo stesso tempo, mantenere il fil rouge di un terroir, quello del nordest, che conosciamo bene e su cui siamo sicuri da avere molto da dire.
– Come nasce il vostro vino? Avete un approccio alla produzione più tradizionale o utilizzate tecniche innovative?
Siamo fieri di poter dire che tutte le nostre uve sono certificate sostenibili col protocollo SQNPI, grandissimo risultato per un’azienda privata. Nella genesi di un vino teniamo sempre al primo posto la sperimentazione: dalla nostra cantina di San Polo di Piave, completamente gestita in regime biodinamico, abbiamo estrapolato molte delle tecniche che oggi utilizziamo anche nella viticultura tradizionale. Crediamo che creare un contesto di sperimentazione e curiosità sia la base per contaminarsi continuamente e, forse, il mantenimento di un sentimento del genere in azienda è uno dei nostri obiettivi più stimolanti.
– Quali sono secondo voi le caratteristiche principali dei vostri vini?
Lavoriamo in climi freddi, in terreni che spaziano dagli alluvionali, ai morenici, fino ai vulcanici dell’alta Valpolicella. In tutti i nostri vini prediligiamo l’eleganza alla potenza. Pensiamo che, come produttori, una delle scelte migliori sia lasciare che il territorio si esprima al meglio e che il nostro dovere sia quello di “messaggeri”: più traduttori che autori. Ci piace pensare che i vini Albino Armani siano la perfetta manifestazione di un vino nato in altura, in luoghi freddi, e che meriti di essere raccontato così. Nel bicchiere non troverete mai affinamenti importanti, terziari invadenti, ma la vibrante acidità che solo un clima freddo sa restituire.
– Qual è il futuro della vostra cantina? Avete già dei progetti in mente?
Decine, tutti raccolti sotto un cappello chiaro: essere parte del vino delle future generazioni, con tutte le responsabilità che questo comporta.
– Quali sono le sensazioni che volete trasmettere ai consumatori attraverso le vostre etichette?
Forse il rigore, la sensazione di trovarsi di fronte a un prodotto che non accetta compromessi, un prodotto che viene da 400 anni di storia in luoghi complessi che solo se amati alla follia possono restituire ciò che gli si è donato. Il bianco delle nostre etichette racconta questo: spesso mettendo in etichetta anche la singola vigna da cui il vino prende il nome, quasi a ricordare quanto impossibile e velleitario sarebbe pensare a quel vino lontano dalla propria terra di origine. Di nuovo, il produttore come traduttore, come interprete, più che protagonista.
– Quali sono per voi le tre regole d’oro per un buon vino?
Un grande vino è quello che meglio racconta le storie delle genti che l’hanno prodotto. Un grande vino è un vino che si fa capire, che parla chiaro. In parole povere: un grande vino è un vino di cui avresti voglia di finire la bottiglia.
– Se dovesse scegliere due parole chiave per descrivere i vostri prodotti, quali sarebbero?
Eleganza e Coerenza.
– Qual è il vostro rapporto con il territorio?
Dipendenza assoluta. Lavoriamo in territori che possiamo capire, con persone che condividono i nostri valori. Non potremmo conoscere altro modo di lavorare se non questo.
– Come si posiziona oggi il vostro vino? Siete più orientati al mercato nazionale o a quello internazionale?
I mercati internazionali ci hanno sempre accolto con favore. Oggi gli Stati Uniti sono un mercato ottimo per il Pinot Grigio, varietà che in Valdadige trova il suo habitat ideale. In Nord Europa c’è grande attenzione per il nostro Prosecco, mentre in Italia abbiamo la fortuna di divulgare progetti di ricerca e più di nicchia anche se, finalmente, anche negli Stati Uniti siamo partendo con due nuovi progetti sperimentali di cui siamo molto curiosi: un Pet Nat e un Pinot Grigio Orange.
– Perché un consumatore dovrebbe scegliere i vostri vini? E chi è il vostro target di riferimento?
Avendo molte referenze, i target possono variare molto e negli anni abbiamo voluto parlare a tutte le fasce di consumatori che più ci incuriosivano. Ad oggi i wine lover più giovani trovano in Albino Armani un ottimo hub per conoscere a 360 gradi tutte le varietà che il Triveneto ha da offrire, in un’esperienza sempre coerente. Credo sia una delle chiavi del successo di questo progetto.
– Qual è secondo voi l’etichetta che più rappresenta la vostra azienda? E perché?
Il Foja Tonda, un autoctono della Valdadige recuperato dall’estinzione da Albino Armani nei suoi primi anni in azienda e che tutt’oggi rappresenta a pieno lo spirito di innovazione e ricerca che anima l’impresa tutta.
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